Tutti influencer, e se anche fosse?


Nell'era del lavoro a singhiozzo e delle asticelle sempre più alte, in tanti "snobbano" percorsi tradizionali per lanciarsi in una carriera online


C'erano una volta calciatori e veline

Se avete all'incirca la mia età (sui trenta, per intenderci) forse vi ricorderete del tormentone su come certe emittenti televisive rincitrullissero i bambini mettendo loro in testa sogni di gloria come calciatori e veline.

Qualche anno dopo, quelle stesse emittenti televisive hanno iniziato a proporci i reality show, e subito è partita un'altra mezza psicosi su ragazzini pronti a iscriversi a questo o quel programma appena compiuti i diciotto anni.

Adesso è il turno degli influencer, cioè quelle (micro)celebrità che attraverso i social network riescono a costruirsi un seguito abbastanza grande da poter pubblicizzare in modo diretto ed efficace prodotti o servizi di vario genere, con aziende pronte a pagare cifre più che interessanti pur di assicurarsene le capacità di marketing. 

Un'altra carriera "facile", secondo certi critici, che magari preferirebbero vedere i giovani impegnati in lavori più "seri".  


Influencer, perché no?

E a scanso di equivoci: sui comportamenti non sempre esemplari degli influencer si parla già da diverso tempo, e non senza ragione...

...ma viene da chiedersi perché tanti ragazzi si interessino a questo tipo di percorso, invece di dedicarsi ad altro - e le risposte sono molteplici.

Prima di tutto, utile o no, l'influencer marketing è un giro d'affari niente male, con un valore stimato per il 2022 a 16,4 miliardi di dollari a livello globale, in crescita rispetto al 2021: e dove c'è business c'è gente pronta a cavalcare l'onda, senza andare troppo per il sottile, tanto che in Italia come all'estero sono nati corsi di formazione specifici.

Inoltre, almeno in apparenza, chiunque può diventare un influencer, basta individuare una nicchia in cui inserirsi - moda, cucina, tecnologia... un argomento su cui si ha qualcosa da dire lo si trova, bastano uno smartphone, una connessione Internet e qualche account social - in realtà le cose sono un po' più complicate di così, perché le variabili in gioco sono quasi infinite, così come i potenziali concorrenti, ma l'illusione è forte.     

E poi, cinicamente: quale sarebbe l'alternativa?

Studiare per anni per diventare medici o infermieri sottopagati e costretti a cercare impiego decoroso altrove? Diventare ricercatori o professionisti bistrattati e mandati ad allargare le file dei cervelli in fuga?

Oppure tentare un onesto lavoro in fabbrica, sempre che le delocalizzazioni lo consentano?


Se volete altro, fate altro

Le prospettive professionali e di vita per tanti giovani italiani non sono delle migliori, quindi non mi sento davvero di puntare il dito o di dire a chicchessia quale percorso intraprendere.

Tanti ragazzi tenteranno di farsi strada in Rete, e magari qualcuno ci riuscirà.

Il resto insisterà per un po', poi "maturerà" (o meglio, raggiungerà il proprio limite) e si adatterà a cercare altro, magari uno dei tanti lavori "più utili".

Lavori che però i tanti politici tromboni che pontificano da giornali e talk-show potrebbero almeno iniziare a valorizzare un po' di più anche nei fatti - non fiori, ma opere di bene.

Se voglio più medici e ricercatori, diano ai ragazzi motivi validi per diventarlo.

Com'è che si dice? Follia è ripetere continuamente la stessa azione e aspettarsi un risultato diverso.   

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