Quando il sogno è prodotto in serie

immagine di fantasia: una valigia aperta rivela un cielo azzurro sul coperchio e una spiaggia sul fondo


Internet e la crisi creativa dell'industria dei sogni 


I social e l'invasione dei replicanti

Dell'effetto deleterio dei social media si potrebbe parlare all'infinito: standard impossibili, positività tossica e pericolosa, fake news, ansia, odio... c'è davvero l'imbarazzo della scelta.

Oggi però mi piacerebbe parlare di un argomento meno serio, almeno a prima vista, che tuttavia mi irrita profondamente, vale a dire quella che mi piace chiamare l'invasione dei replicanti.

Pensateci un attimo, su piattaforme quali LinkedIn o Instagram gli utenti di successo, i personaggi che danno il tono per intenderci, sono quasi tutti uguali: stesse foto con espressione alternativamente spensierata e in tralice, stesse frasette motivazionali, stesso Italiano mescolato all'Inglese, stessi eventi, stesso modo di vestire, stessi accessori, stesse vacanze, stesse procedure cosmetiche... cloni, cloni ovunque!

Da un lato, come dicevo, la cosa mi urta intimamente, perché fin dai miei primi anni, per una serie di circostanze personali, ho sviluppato e protetto un fortissimo senso di me stesso; non necessariamente un credermi migliore degli altri (va bene, qualche volta sì...), ma sempre e comunque un vivo desiderio di non essere omologato, di conservare nei limiti del possibile la mia individualità (cosa ben diversa dall'individualismo, mi raccomando).

Dall'altro, però, il fenomeno mi lascia perplesso anche da un punto di vista "tecnico": se sei uguale a tutti gli altri, perché la gente dovrebbe prestare attenzione proprio a te?   


Sogni in serie: il troppo stroppia?

Quando si tratta di persone "comuni", quando il profilo Instagram è in fin dei conti la versione digitale del vecchio album di fotografie o delle diapositive da condividere con amici e parenti, è normale che i contenuti risultino un po' banali, anche solo per una questione di tasche; la maggior parte di noi non può permettersi chissà quali cene o vacanze. 

Ma quando parliamo di utenti che desiderano emergere, che magari vogliono tentare la carriera di influencer oggi così popolare, la banalità diventa un errore, almeno secondo me; non solo cercare di imitare gli altri è difficile e, alla lunga, stancante, ma in Rete la concorrenza è numerosa, è spietata (io ne so qualcosa), e per farsi notare bisogna crearsi un'idea, un'emozione, un sogno da "vendere", qualcosa che gli altri non possano trovare altrove.

Tornando all'esempio del viaggio, cosa offre ai follower l'ennesimo resoconto di un viaggio a Dubai, tra le stesse attività e le stesse strade già percorse da migliaia di altri, senza nemmeno una storia davvero personale, un barlume di umorismo che faccia la differenza?

Che senso ha andare così lontano per regalare contenuti tanto vuoti che al confronto la storia della mia pianta di peperoncino diventa un'autentica lezione di vita?       


La gente si stancherà?

Non so quanto a lungo questo modo così sfacciato e allo stesso tempo impersonale di essere influencer resterà popolare, o anche solo sostenibile.

Se le tensioni sociali e magari una crescente consapevolezza degli utenti non riusciranno a mandare in pensione le star di Instagram, la noia potrebbe invece riuscire nell'impresa.

Riusciranno a salvarsi e ad andare avanti soltanto coloro che avranno dimostrato di possedere una sensibilità diversa, o un certo senso dell'umorismo, oppure un interesse per le sorti del Mondo... insomma, coloro che avranno sviluppato una personalità un filo più complessa della preferenza per un filtro particolare da applicare alle proprie fotografie. 

Certo, essere un clone può sembrare rassicurante, nei numeri c'è una certa forza, mentre distinguersi significa anche poter suscitare reazioni non sempre positive: ma essere come chiunque altro vuol dire anche essere pienamente e prontamente rimpiazzabile.

Se ci trasformiamo noi stessi e i nostri sogni in prodotti in serie, siamo destinati a diventare rifiuti...    

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