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Notizie (non) virali

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Oggi i virus (non) fanno notizia Si è diffusa un paio di giorni fa la  notizia del primo ricovero in Italia dovuto al ceppo di influenza "australiana". Conosciamo località, età e condizioni del paziente, il tutto correlato dal commento dell'ormai irrinunciabile esperto, il questo caso il professor Bassetti. Ora, nessuna obiezione a fare informazione seria e a fare attenzione, soprattutto a tutela dei nostri concittadini più a rischio, ma la cosa mi dà da pensare. Un primo ricovero tale da far notizia, menzionato da più testate? Si faceva anche "prima"? Ricordare l'era pre-Covid ormai non è semplice , ma i motori di ricerca mi vengono in aiuto: così, su due piedi, di notizie analoghe in età pre-pandemica non ne vedo. C'è il famigerato "paziente zero" del febbraio 2020. Ci sono i primi casi italiani di "suina" nel 2009. Ma del Primo Ricovero ™  delle stagioni influenzali precedenti non c'è traccia, almeno non tra i fatti di risonan

7 cose che fanno molta più paura di Halloween

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Ormai è difficile spaventarsi con spettri e racconti dell'orrore... Arrivati ormai in pieno autunno, eccoci di nuovo nel periodo di Halloween, la festa straniera (ma non troppo) dedicata al mistero con un pizzico di terrore. Sulla futilità o addirittura diabolicità di questo Carnevale in salsa horror lascio mettere becco agli altri: da parte mia, non ho mai trovato nulla di male in una notte dedicata a ciò che i nostri sensi e i nostri computer non riescono a cogliere, a quel po' di irrazionale con cui bene o male in certi momenti della vita ci ritroviamo a fare i conti... ...tuttavia, devo ammettere che in questi ultimi anni è diventato più difficile pensare molto all'inspiegabile, a ciò che potrebbe trovarsi dall'altra parte, quando già da questo lato dell'esistente abbiamo così tanti grattacapi. A dirla tutta, ci sono parecchie cose che provocano molti più brividi dei trapassati in vena di rimpatriate: La guerra, soprattutto in questa sua nuova modalità così dist

Tre parole che non si possono più sentire sugli annunci di lavoro

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Non me ne vogliano i recruiter, ma... In questi giorni, in parte per ragioni che di sicuro ricorderete , ho deciso di dedicare un po' più di tempo alla ricerca di nuove opportunità professionali. Una scelta forse un po' impopolare  di questi tempi, ne convengo; ma all'occorrenza l'Apocalisse incombente può trasformarsi nello sprone che non ti aspetti . A ogni modo, la trafila la conosciamo un più o meno tutti: un bel respiro, una lucidata al cv, e via con gli annunci. Già, gli annunci: proprio su questi ultimi vorrei spendere qualche parola - qualche parola sulle parole, per essere precisi. Ora, forse me ne sono accorto solo adesso, ma... ...le avete notate? Quelle tre paroline che, insieme o in solitaria, nella descrizione a regola d'arte del potenziale luogo di lavoro sembrano non mancare quasi mai - e che, a dirla tutta, iniziano a pesarmi un po': vediamole insieme. Cominciamo con collaborativo : con il dovuto rispetto, vorrei ben sperare che lo sia! Le ipote

Occhio alla testa: ai confini della privacy

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Le leggi sulla privacy mettono paletti alla tecnologia, ma... Un paragone arcinoto: il cervello è un computer. Una preoccupazione crescente: come un computer, il cervello può essere violato e hackerato , magari approfittando tante nuove scoperte e tecnologie emergenti che promettono miracoli attraverso la nostra materia grigia. Dall'altra parte del Mondo, qualcuno sta cercando di rimediare: è di questi giorni la notizia di un emendamento che lo Stato della California ha apportato al suo Consumer Privacy Act, mediante il quale i politici di Sacramento intendono difendere la privacy ai tempi della nuova rivoluzione tecnica, seguendo gli esempi del non lontano Colorado e ancor prima del Cile in questo territorio ancora in larga parte inesplorato. In base alle nuove regole californiane, i dati cerebrali dei consumatori sono ora equiparati agli altri "dati sensibili", impegnando quindi enti e aziende a trattarli con gli stessi standard previsti dalle normative vigenti. Un p

Sconnesso su LinkedIn

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Sentirsi isolati nella mecca del networking Fra il lento declino di X-fu-Twitter (che se grossomodo risolve i suoi guai da una parte se ne ritrova di nuovi da un'altra) e la stagnanza di molti altri social (con l'eccezione forse del giovane Bluesky) mi sono ritrovato a dare l'ennesima chance a LinkedIn - vuoi perché in questi tempi di lavoro non sempre esaltante è bene tenersi aperte tutte le porte, vuoi anche per la curiosità di riesplorare un ambiente che di recente avevo trascurato. Sul momento le cose sono andate meglio del previsto: non solo il mio recente saggio sul movimento anti-lavoro è stato accolto certo interesse, ma ho notato un netto indietreggiare di elementi di disturbo quali post melensi dalla retorica ingannevole del se vuoi puoi , comizi politici improvvisati e attività di profili animati da fini poco limpidi . Tutto bene, quindi - almeno per un po'. Perché dopo un certo una nota stonata, una curiosa sensazione l'ho avvertita. È quel certo ot

Ancora non vediamo

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La Terza Guerra Mondiale è forse già in corso, ma... In questi giorni mi è tornata in mente l'originale teoria di George Berkeley (1685-1753) filosofo e vescovo irlandese attivo nel XVIII secolo: secondo l'ecclesiastico, esse est percipi , le cose esistono non in sé, bensì solo nella misura in cui noi (e, in suprema istanza Dio) le percepiamo. La posizione di Berkeley dev'essere suonata alquanto controintuitiva a parecchi dei suoi contemporanei, e di sicuro pare bizzarra anche a molti di noi, nonostante una certa qual assonanza con i moderni concetti della Psicologia e della Fisica. In questi giorni, però, sembra applicarsi bene a quanto stiamo vedendo. Come di sicuro già tanti di coloro che stanno leggendo, trovo sempre più convincenti le parole di chi denuncia una Terza Guerra Mondiale ormai in corso da tempo; eppure la reazione generale, dai politici in giù, è a dir poco apatica. Forse nell'orizzonte di tanti la minaccia non esiste, perché in effetti non la percepi

Lavoratori e sabotatori

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Se lasciarsi il lavoro alle spalle non basta Sempre più persone sembrano insoddisfatte del proprio lavoro, se non  del concetto di impiego in generale , e questo è ormai evidente per tutti o quasi. Ma mentre aziende e media osservano con preoccupazione chi "diserta",  la vera minaccia potrebbe in realtà risiedere altrove - fra chi resta... per far danno. Un'idea da romanzo? Non proprio, almeno secondo un recente rapporto rapporto Gallup , secondo il quale il 16% dei lavoratori europei e ben il 25% di quelli italiani si identifica come actively disengaged , ovvero "attivamente disimpegnato": non semplicemente disinteressati a contribuire, ma intenzionati a mettere persino i bastoni fra le ruote ai colleghi magari più entusiasti e in generale a sabotare il proprio posto di lavoro. Sono percentuali tutt'altro che irrisorie, che fanno riflettere: ogni giorno, migliaia se non milioni di dipendenti rallentano, ostacolano o bloccano le attività delle aziende per cu