Orwell fa paura, ma Huxley di più

viso di donna su sfondo nero scannerizzato a caratteri binari azzurri


Tutto ciò che è "orwelliano" fa paura, ma la distopia può prendere forme più insidiose (e angoscianti)


Tutto è orwelliano 

Orwelliano.

In questi ultimi anni, sono state attaccate come "orwelliane" tante delle misure adottate dai Governi contro la pandemia, a cominciare dal famigerato (ma ormai dimenticato) Green Pass.

Prima ancora, sono stati additati come "orwelliani" i social media che vanno in crisi ma non muoiono mai, con i loro algoritmi e le tante informazioni che ogni giorno raccolgono su chi li frequenta, tutti dati pronti ad essere venduti ad aziende e magari ceduti ad autorità di vario tipo, senza parlare delle periodiche ondate di indignazione incontrollata.

"Orwelliano", un aggettivo a volte usato a sproposito e con toni da teorie del complotto, ma che tutti o quasi capiscono e che esprime un'ansia reale, la possibilità concreta di un Mondo simile a quello descritto da George Orwell (1903-1950) nel suo 1984: controllo capillare, zero privacy, e odio creato ad arte a scopo di propaganda.

Un Mondo in cui ben pochi vorrebbero vivere, e che rappresenta nell'immaginario collettivo il non plus ultra della distopia, del futuro da combattere.

Peggio di così, non può esserci niente, giusto?

Be', forse sì. 


Il mondo nuovo e la distopia che non ti aspetti

Un'opera spesso messa a confronto con 1984 è Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1894-1963), romanzo ambientato in una società dove gli individui sono assegnati a specifiche classi (e quindi, a specifici compiti) in base a stretti criteri eugenetici fatti rispettare da un'élite tecnocratica.

Una realtà non proprio allettante, che pure tutti, inclusi coloro che sono relegati alla base della piramide sembrano accettare senza troppi problemi, "merito" anche di un diffuso consumo di droghe, a cominciare dal "soma", sostanza in grado di regalare felicità e benessere a prescindere dall'esistenza grama a cui si è destinati, e pertanto distribuita per prevenire insoddisfazione, rancori e in ultima analisi rivolte in grado di mettere in discussione lo status quo.

A prima vista, rispetto alla grigia e occasionalmente rabbiosa atmosfera dipinta da Orwell, la vita descritta da Huxley non è poi così malvagia, in fondo la gente non è contenta?

Eppure, almeno dal mio punto di vista, Il mondo nuovo ci propone un interrogativo tanto interessante quanto inquietante: è più importante essere felici o essere liberi?     


Essere felici o essere liberi?

In una società "orwelliana", o avviata a diventarlo, la possibilità di rivolta è sì soppressa, ma mai davvero annientata: può essere fallimentare, come in 1984, ma in fondo al cuore di ciascuno, anche dei più insospettabili, può celarsi l'insofferenza, l'ipocrisia, la ribellione.

Nel mondo creato da Huxley, invece, l'adesione a un sistema ingiusto è ottenuta nella mente stessa dei cittadini/sudditi, resi dipendenti da una felicità artificiale: solo chi vi entra dall'esterno può vederne l'iniquità.

Se qualcosa di simile al soma esistesse e fosse così facilmente utilizzabile, i tiranni o aspiranti tali di tutto il Pianeta ne avrebbero già ordinate quantità industriali!

Gente felice di spaccarsi la schiena diciotto ore al giorno, gente spedita tutta contenta al fronte di guerre interminabili, che pacchia per un despota.   

E questo perché al fondo sappiamo che essere liberi può essere faticoso, doloroso, a volte persino fatale, senza che niente di tutto ciò ci garantisca l'appagamento che cerchiamo.

Non sarebbe molto più semplice smettere di lottare, e magari accettare una pillola magica?

Forse le storie più spaventose non sono quelle che ci vengono additate come tali...  

Commenti

  1. L'idea di Huxley è più subdola. Più facile gestire gente felice che gente riottosa.

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    1. Sono assolutamente d'accordoIuri, quando la mente è prigioniera non c'è più salvezza.

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  2. Finalmente non ho più quell'odioso problema con il chaptcha e posso scrivere in santa pace!
    Come ti dicevo su MeWe, mi fa venire in mente Ira Levin.
    Da paura.

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    1. Grazie per il commento, Lucrezia!

      Non conosco Ira Levin, mi documenterò :)

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