Quando l'opportunità diventa onere
Quelle che ci sono state presentate come delle opportunità si sono trasformate in obblighi
Vite spezzate
Vite distrutte nella corsa al "pezzo di carta".
Si continua a parlarne, purtroppo, e non si può non farlo, ripensando alla studentessa dello Iulm di Milano, alla collega iscritta alla Federico II di Napoli, e a tante altre storie come le loro, raccontate dai giornali nel corso degli anni.
Giovani in difficoltà con gli studi universitari, e magari anche con altro, che non sanno o non possono reggere alla pressione delle aspettative personali, familiari, sociali.
Dopo settimane, mesi, magari anni trascorsi a nascondere la dura realtà con una sofferta menzogna, la preoccupazione dietro un faticoso sorriso, il peso diventa troppo grande.
Se ne vanno soli, in silenzio, senza potersi confidare con nessuno, prigionieri di un senso di impotenza e di fallimento impossibile da superare.
A uccidere è la vergogna.
La vergogna di non "avercela fatta".
La vergogna di aver sprecato una "opportunità".
Le opportunità di ieri sono gli obblighi di oggi
Già, le "opportunità".
Ma davvero si muore per inseguire un'opportunità?
Forse sarebbe più corretto parlare di obbligo, ormai.
Qualche decennio fa, quando trovare lavoro era più semplice, quando anche ai meno secchioni o meno stacanovisti era possibile trovare un impiego decoroso, quando essere ottimisti era più facile, la laurea era un'opportunità, una possibilità che almeno ogni tanto si apriva a chi voleva, con talento e sforzo, ottenere qualcosa di più, magari dedicarsi a una missione.
Oggi le cose sono ben diverse.
Sparite per mano di macchinari e delocalizzatori tante posizioni lavorative, aumentata la concorrenza da ogni parte del Mondo, caduti i salari e gonfiati a dismisura i requisiti per qualsiasi mansione, proseguire gli studi non è più una semplice opzione, è un onere.
Un onere per tanto per le famiglie, pronte a sacrificare i propri risparmi, quanto per i ragazzi, ansiosi di non deludere i genitori.
La ricetta per il disastro, pronta per essere servita a tante nuove vittime.
L'era dello scarto
Per quanto sia orribile il pensiero, è chiaro che siamo entrati nell'era dello scarto: tutto è sempre più rapido, difficile, spietato.
Lo spettro della concorrenza, a casa come nel resto del Mondo, è una spada di Damocle sempre appesa, la retorica tossica (e assai dubbia) del se lo vuoi puoi, onnipresente.
Più aumenta la velocità, più aumentano i caduti; più si alza l'asticella, meno temerari riescono a saltare.
Chi arranca, chi non riesce, diventa un rifiuto, e viene fatto sentire tale, per poi destare scalpore quando alla fine decide davvero di buttarsi via.
Le vittime, i morti di questa assurda guerra civile a livello globale, ricevono al massimo un pensiero, qualche editoriale preoccupato sulle testate nazionali se va bene: presto a piangere restano solo familiari e amici, perché la battaglia riprende senza sosta, si deve continuare a correre e a preoccuparsi di mantenere il precario equilibrio ottenuto, esorcizzando il timore di essere i prossimi a perire.
In nome di non si sa più neppure bene cosa, cosa siamo diventati?
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