La "dittatura del politicamente corretto" esiste davvero?

Immagine in bianco e nero: illuminato solo per metà, un uomo giovane dall'aria severa intima di fare silenzio con un indice davanti alla bocca

Siamo davvero sotto la dittatura di un "pensiero unico" imposto dall'alto?


La "dittatura del politicamente corretto": un nemico temuto

Tra chi si vanta di "andare controcorrente" e soprattutto tra chi si dedica a guidare questi nuovi illuministi sembra molto diffusa la convinzione che il Mondo stia cadendo o sia addirittura già caduto sotto il giogo ineludibile della cosiddetta "dittatura del politicamente corretto", altresì nota come "dittatura del pensiero unico".

All'occorrenza, i sostenitori di questa tesi sono pronti a elencare diversi esempi che ne dimostrerebbero la veridicità, come l'introduzione dei vaccini anti-Covid, il sostegno di molti Paesi occidentali e non all'Ucraina, la nuova consapevolezza sulla crisi climatica, ma anche la diffusione di fenomeni di costume come la crescente visibilità nei media di persone di colore o LGBT+: chi non si allinea alla dottrina dominante è destinato secondo costoro ad essere ostracizzato, licenziato, perseguito, ormai bisogna stare attenti a come si parla e con chi, soprattutto in Rete, perché il rischio di delazione e di pubblico linciaggio è sempre dietro l'angolo. 

A prima vista, si tratta di una deriva preoccupante, una minaccia alla libertà di parola e di espressione che l'Occidente tanto ama sbandierare quale prova della propria superiorità morale...

Ma le cose stanno davvero così?   


Il "politicamente corretto" è sempre esistito 

Si avverte una tesi sottaciuta nei ragionamenti di tanti nemici del "pensiero unico": il "politicamente corretto" è un pericolo prevalentemente moderno, frutto di macchinazioni di veri o presunti "poteri forti" animati da intenzioni nefaste.

Eppure, se ci pensiamo un attimo, è chiaro che la tesi storicamente non regge granché: da sempre infatti le società umane hanno stabilito i propri parametri di "politicamente corretto", ovvero di opinioni e pratiche "giuste" da incoraggiare e all'occorrenza imporre a tutti.

Le cronache sono piene di persecuzioni, roghi di libri, purghe, esecuzioni... gli antichi Romani avevano l'abitudine di condannare alla damnatio memoriae imperatori ritenuti particolarmente malvagi: siamo davvero sicuri che le critiche e l'indignazione sui social, le richieste di pubbliche scuse, eventualmente l'occasionale licenziamento o mancata assunzione di Tizio, Caio o Sempronio, sospensione di programmi televisivi o chiusura di canali YouTube (provvedimenti non necessariamente condivisibili, sebbene non comuni e spesso decisi per motivi un po' più seri di semplici "opinioni") possano essere paragonati a certi orrori del passato?

L'impressione di un pericolo nuovo e incombente popolare tra certi commentatori e anche tante persone "comuni" nasce dal sovrapporsi di due fattori: globalizzazione e Internet.

Oggi infatti a stabilire che cosa sia o meno "politicamente corretto" contribuisce un po' tutto il Mondo, incluse quelle minoranze etniche e sessuali che hanno trovato voce e forza organizzativa in Rete, dove tutto avviene in modo molto più veloce, per qualcuno forse fin troppo.

Sentirsi smarriti "ci sta", quindi, così come il ritenere alcune reazioni sproporzionate in singoli casi; ma pensare di essere dei novelli Giordano Bruno è davvero un po' eccessivo, tanto più che spesso almeno qui in Occidente a guidare le "persecuzioni" non è più il potere coercitivo dello Stato, bensì un insieme eterogeneo di altre forze.


È il mercato, bellezza

Quando la società cambia, il primo a cogliere il segnale è il mercato: e in sistemi capitalisti come quelli ancora prevalenti al giorno d'oggi non può che essere così.

Le persone, forse sfiduciate nel proprio ruolo di cittadini, continuano a esercitare il proprio potere come utenti e consumatori: quando un'azienda o un personaggio pubblico scatena le ire di una porzione abbastanza consistente della clientela, la "punizione" mira al portafogli; non a caso l'espressione "cancel culture", nata nelle comunità afroamericane, deriva dalla pratica individuale di non acquistare più prodotti di determinati brand o di non seguire più certi artisti come forma di protesta verso loro posizioni o comportamenti considerati scorretti.

Nell'era digitale, la scelta di una persona o di un piccolo gruppo può espandersi alla velocità della luce, costringendo qualche volta le aziende a cedere, a ritirare lo spot offensivo, a disassociarsi dalla celebrità "problematica", eccetera: ma non è una crociata guidata da oscuri figuri, è soltanto business.

Ed è proprio il mercato che per ironia della sorte viene in soccorso alle tante vittime vere o presunte del "politicamente corretto": per ogni salotto televisivo che si chiude, l'opinionista "scomodo" trova siti web, case editrici o canali di "informazione alternativa" che lo accolgono a braccia aperte, mentre il divo "non allineato" conquista subito orde di nuovi fan pronti a sostenerlo per sentirsi "controcorrente".

L'economia del dissenso è un fenomeno reale, che tra podcast, video, merchandising, libri ed eventi dal vivo smuove milioni, facendo leva sulle innegabili pecche del mainstream e sul desiderio di rivalsa di tante persone (giustamente) insoddisfatte.

Tanti sedicenti "perseguitati" per la libertà di parola stanno facendo affari d'oro, a cominciare da un certo ex-Presidente statunitense... 


Contro le censure, ma anche contro l'odio

Il Mondo sta correndo veloce, voci ignorate per secoli stanno irrompendo con forza nella discussione globale, rivendicando i propri diritti; è vero, star dietro a tutto non è semplice.

Come ogni fenomeno, il nuovo "politicamente corretto" può essere strumentalizzato o risultare in qualche caso troppo aggressivo (soprattutto verso obiettivi non famosi), troppo radicale, e ogni tanto frustrante da gestire, ma non si tratta del mostro paventato da alcuni.

Potrebbe diventarlo?

Certo, tutto è possibile.

Come possiamo evitarlo?

Coltivando una cultura basata sull'ascolto, sul rispetto, sul voler dare il beneficio del dubbio fino a prova contraria, sul saper distinguere tra onesta perplessità e chiara malafede.

Le censure senza se e senza ma servono a poco, se non a radicalizzare chi dissente (magari per motivi comprensibili).

Il mio sogno? Arrivare a vedere un Mondo dove chiunque sia sempre libero di dire la cosa più offensiva possibile, ma scelga di non farlo.

Commenti

  1. Basta fare un giro per il Web e leggere offese e fandonie di ogni genere per capire quanto il politically correct stia imperando.
    Ma proclamarsi vittime rende sempre.
    Hai un bel sogno, potrei sognarlo anch'io.

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    1. In Rete si trova davvero di tutto, e non solo in senso buono... grazie per la visita Alberto, alla prossima.

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  2. Non esiste la dittatura del politicamente corretto, invece esiste eccome la dittatura del politicamente Scorretto, cioè l'argomentare prepotente, tipicamente condotto da persone che hanno potere (persone della politica, dell'esercito, del giornalismo, del mondo accademico), che rivendica il falso diritto di insultare, sminuire e ridicolizzare persone che appartengono a categorie che quotidianamente subiscono discriminazioni. Aggiungendo discriminazione a discriminazioni.

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    1. Credo di sì, ormai seminare odio e intolleranza con il pretesto di essere "controcorrente", "non allineati" ecc. è un ricco business.
      Grazie per la visita!

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