Lavoratori e sabotatori

Veduta in obliquo di una scrivania con pc aperto, un foglio e penne

Se lasciarsi il lavoro alle spalle non basta


Sempre più persone sembrano insoddisfatte del proprio lavoro, se non del concetto di impiego in generale, e questo è ormai evidente per tutti o quasi.

Ma mentre aziende e media osservano con preoccupazione chi "diserta",  la vera minaccia potrebbe in realtà risiedere altrove - fra chi resta... per far danno.

Un'idea da romanzo?

Non proprio, almeno secondo un recente rapporto rapporto Gallup, in base al quale il 16% dei lavoratori europei e ben il 25% di quelli italiani si identifica come actively disengaged, ovvero "attivamente disimpegnato": non semplicemente disinteressato a contribuire, ma intenzionato a mettere persino i bastoni fra le ruote ai colleghi magari più entusiasti e in generale a sabotare il proprio posto di lavoro.

Sono percentuali tutt'altro che irrisorie, che fanno riflettere: ogni giorno, migliaia se non milioni di dipendenti rallentano, ostacolano o bloccano le attività delle aziende per cui lavorano, non per incompetenza o per indolenza, bensì con la precisa intenzione di colpire realtà nelle quali si sentono ignorati, sottopagati, calpestati, che sia per vendicarsi prima di andarsene o per il piacere di veder affondare la nave a costo di annegare.

Come sabotare la propria azienda?

Le vie sono infinite: dall'impiegare più tempo del necessario per determinati compiti per "contrattempi" o "guasti" al fornire informazioni incomplete o poco chiare, dalla resistenza passiva a nuove direttive o catene di comando alla buona vecchia zizzania da seminare fra colleghi, fino al danneggiamento vero e proprio di strumenti e attrezzature (un reato, per inciso).

Sul famigerato forum di Reddit r/antiwork, mecca virtuale del movimento anti-lavoro, i post dedicati all'argomento quasi non si contano, così come i riferimenti a un vero e proprio manuale stilato dalla CIA negli anni Quaranta per scopi un po' diversi, ma ora condiviso in Rete fra strizzatine d'occhio non proprio discrete fra dipendenti scontenti e licenziandi in cerca di vendetta: fra un commento e l'altro, una confessione e l'altra, il fenomeno inizia a sembrare molto meno irrealistico e assai più diffuso di quanto si possa immaginare.

Da una parte, è difficile non empatizzare almeno un po' con i sabotatori e i loro aspiranti emuli: per esperienza personale o di chi ci sta accanto, siamo infatti tutti più o meno consapevoli di quanti posti di lavoro possano rivelarsi tossici, e di quanti principali siano pronti a comportamenti scorretti nei confronti dei propri dipendenti, incoraggiati non di rado dalla posizione vulnerabile di questi ultimi.

Tuttavia, non è detto che a finirci di mezzo siano il CEO arrogante o il vicino di scrivania monomaniaco del comando - il prezzo più grande potrebbe essere pagato da colleghi ingiustamente accusati o da clienti incolpevoli.

Inoltre, non tutte le realtà sono uguali: se colpire una piccola impresa può avere effetti limitati, seppur sempre spiacevoli, cosa potrebbe succedere nel caso di un grande gruppo in possesso di migliaia di dati sensibili, o peggio ancora di un'istituzione governativa?

Viviamo in fondo in un'era di fortissime tensioni geopolitiche, e da anni è noto l'impegno di attori malevoli per infiltrarsi nel cuore di enti di ricerca, ministeri, eccetera attraverso sofisticate tecniche di ingegneria sociale o anche solo mettendosi in attesa di un'occasione propizia: un avversario in cerca di informazioni riservate incontra un funzionario insoddisfatto della paga o con qualche conto da regolare con i colleghi, e il gioco è fatto - è già successo e succederà ancora, con possibili conseguenze per interi Paesi.

Certo, le aziende possono far ricorso all'ultimo ritrovato della cybersecurity, sorvegliare fino allo sfinimento; ma lavorare con altri esseri umani richiede sempre e comunque un minimo di fiducia, fondata su obiettivi e valori comuni; ed è proprio tale comunanza che ormai sembra perduta.

L'unico vero modo di disarmare i potenziali sabotatori è togliere loro la motivazione per agire: ma i datori di lavoro sono pronti a fare ciò che serve per riuscirci?

Commenti

  1. Credo ci sia bisogno di una grande inversione di rotta nel mondo del lavoro, ma penso anche che la strada da percorrere sia ancora molta.
    Non condivido il sabotare un posto di lavoro, per quanto odiato. È un modo di fare poco cristallino, che non prende su di sé la responsabilità delle proprie azioni, di ciò che si pensa e si ritiene giusto e anzi la rpvescia su persone che non c'entrano.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Percentuali così alte sono sicuramente la spia di un malessere molto più diffuso di quanto si pensi, per buttare al vento così prudenza e scrupoli morali si deve essere davvero arrivati al limite.
      Buona serata, a presto

      Elimina

Posta un commento

I vostri commenti sono sempre i benvenuti, chiedo solo civiltà e niente spam :)

Post popolari in questo blog

Scegliere una carriera sull'orlo del baratro

I blog salveranno la Rete in frantumi?

Più liberi... eppure no